Le nuove sfide globali in materia di sostenibilità

Le nuove sfide globali in materia di sostenibilità

La Conferenza mondiale sul clima, la COP29 di Baku, tenutasi in Azerbaigian dall’11 al 22 novembre 2024, si è svolta in un contesto estremamente critico. Gli eventi climatici estremi, tra cui alluvioni e incendi devastanti, dimostrano con evidenza crescente che il cambiamento climatico è ormai un fenomeno avanzato e inarrestabile, con conseguenze sempre più gravi a livello globale.

Nonostante le alte aspettative, la conferenza si è conclusa con un accordo last-minute che ha generato numerose polemiche. Il principale risultato è stato l’istituzione di un fondo per la compensazione dei danni climatici e per la transizione energetica nei Paesi in via di sviluppo, con un impegno di 300 miliardi di dollari all’anno fino al 2035. Tuttavia, questa cifra è considerata insufficiente rispetto ai 1000-1300 miliardi richiesti dalle nazioni più vulnerabili. Inoltre, permangono dubbi su quanti di questi fondi verranno effettivamente stanziati e con quali tempistiche.

Diverse delegazioni hanno espresso forte insoddisfazione nei confronti dell’accordo. La rappresentante indiana Chandni Raina ha definito la cifra stabilita “abissalmente povera” e “irrisoria”, mentre la delegata delle Isole Marshall ha accusato gli Stati industrializzati di opportunismo politico. Le critiche si sono estese anche al processo decisionale, con il delegato panamense che ha denunciato la prassi di presentare il testo finale all’ultimo momento, costringendo i Paesi a ratificarlo per salvare il multilateralismo.

Un altro punto controverso è stata la mancata menzione esplicita del phase-out dei combustibili fossili nel testo finale, nonostante le pressioni di Unione Europea e Stati Uniti. Il documento si è limitato a richiamare gli impegni della COP28 di Dubai sulla “transizione dai combustibili fossili”, evitando però riferimenti diretti alle fonti energetiche responsabili del riscaldamento globale.

L’Unione Europea ha accolto positivamente il risultato, sottolineando il suo ruolo nel negoziato, in particolare nell’ampliamento della base di contribuenti al fondo climatico e nel rafforzamento delle norme sulla trasparenza dei mercati del carbonio. Il commissario europeo per il Clima, Wopke Hoekstra, ha dichiarato di essere fiducioso nel raggiungimento dell’obiettivo di 1300 miliardi di dollari entro il 2035, ma resta da verificare se gli impegni presi saranno effettivamente rispettati.

L’instabilità politica e il ritorno delle posizioni negazioniste

Un elemento di grande preoccupazione è rappresentato dall’atteggiamento degli Stati Uniti sotto la leadership di Donald Trump. L’ex presidente, tornato al potere con la promessa di smantellare le politiche multilaterali, ha annunciato nuovamente l’uscita dagli Accordi di Parigi, compromettendo gli sforzi internazionali per la decarbonizzazione. La sua retorica negazionista e la volontà di eliminare ogni riferimento alla sostenibilità dalle politiche economiche rischiano di dare un colpo fatale alla cooperazione globale nella lotta ai cambiamenti climatici.

Gli Stati Uniti avevano già firmato gli Accordi di Parigi nel 2016 sotto l’amministrazione Obama, per poi uscirne nel 2020 con Trump e rientrarvi nel 2021 con Biden. Ora, con un possibile secondo mandato di Trump, l’uscita dagli accordi rischia di diventare definitiva, minando la credibilità e l’efficacia delle politiche climatiche globali.

Parallelamente, l’Inflation Reduction Act (IRA) voluto da Biden, che ha destinato miliardi di dollari alla transizione ecologica, è ora a rischio di smantellamento. Trump e i suoi consiglieri hanno già delineato una strategia per ridimensionare drasticamente l’IRA, eliminando fondi destinati alle infrastrutture di ricarica elettrica e alla promozione delle energie rinnovabili. La rimozione degli incentivi per veicoli elettrici e carburanti sostenibili potrebbe avere un impatto devastante sull’industria green americana, favorendo il ritorno ai combustibili fossili.

Il ritorno delle trivellazioni e lo stop all’eolico offshore

Con il nuovo corso politico, l’amministrazione Trump ha annunciato una “emergenza energetica nazionale”, aprendo la strada a nuove trivellazioni e alla deregolamentazione ambientale. Il provvedimento prevede l’accelerazione dei processi autorizzativi per oleodotti e impianti a carbone, con il rischio di compromettere aree naturali protette come l’Arctic National Wildlife Refuge in Alaska.

Inoltre, Trump ha sospeso le nuove concessioni per l’eolico offshore nelle acque federali, colpendo uno dei settori chiave della transizione energetica americana. La giustificazione ufficiale fa riferimento a preoccupazioni economiche e alla tutela della fauna marina, ma il risultato è un rallentamento degli investimenti nelle rinnovabili e un ritorno alle fonti di energia tradizionali.

Il ruolo dell’Europa e il rischio di frammentazione

In questo scenario, l’Unione Europea si trova di fronte a una sfida cruciale: mantenere la leadership nella transizione ecologica nonostante le tensioni geopolitiche e le divisioni interne. Come sottolineato dal rapporto di Mario Draghi, la crescita economica europea dipende in larga misura dalla decarbonizzazione e dalla digitalizzazione. Tuttavia, se l’UE non saprà presentarsi compatta alla COP29 e proseguire con decisione l’attuazione degli Accordi di Parigi, rischia di lasciare campo libero a strategie politiche che mettono in discussione gli investimenti nella sostenibilità.

Già oggi si assiste a un crescente scetticismo verso le politiche ESG (Environmental, Social and Governance), con grandi asset manager come BlackRock, Vanguard e State Street che riducono la loro esposizione agli investimenti sostenibili. Se questa tendenza dovesse consolidarsi, il settore della finanza verde potrebbe subire un drastico ridimensionamento, mettendo a rischio gli sforzi per un’economia più sostenibile e resiliente.

Il rischio di un aumento della plastica e i dazi sugli imballaggi

Un ulteriore fattore di preoccupazione è rappresentato dall’aumento della produzione di plastica. Con la riduzione delle restrizioni ambientali negli Stati Uniti, grandi aziende come Coca-Cola potrebbero intensificare l’uso di imballaggi in plastica monouso, aggravando la crisi della gestione dei rifiuti a livello globale.

Nel frattempo, l’Unione Europea sta valutando l’introduzione di nuovi dazi sugli imballaggi non riciclabili, con l’obiettivo di incentivare pratiche più sostenibili. Tuttavia, senza una strategia globale coordinata, queste misure rischiano di essere inefficaci rispetto alla crescente produzione di materiali inquinanti nei mercati meno regolamentati.

Un futuro incerto

Di fronte a queste sfide, diventa essenziale ribadire il valore della sostenibilità come pilastro per lo sviluppo futuro. L’Europa ha l’opportunità di rafforzare il proprio ruolo guida nella transizione ecologica, promuovendo politiche innovative e investimenti strategici. La cooperazione internazionale, nonostante le difficoltà, rimane un elemento chiave per affrontare il cambiamento climatico, evitando di cadere nella trappola di un nuovo isolazionismo politico ed economico.

La COP29 sarà un banco di prova cruciale: se l’Unione Europea saprà mantenere una posizione chiara e determinata, potrà guidare la transizione verso un modello di sviluppo sostenibile. Al contrario, un’Europa divisa e incerta rischia di diventare la principale vittima delle politiche protezionistiche e anti-ambientali promosse dagli Stati Uniti di Trump. La domanda che molti si pongono è chiara: l’Europa saprà essere all’altezza della sfida?

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